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#02 May 2013 / Town Planning Borders, boundaries and other divisions

La citta' pubblica. Un paesaggio dell’abitare quotidiano

Testo in corso di pubblicazione nel volume curato da Annick Magnier e Maurizio Moranti, "Paesaggi in mutamento", Franco Angeli Editore

Autor: Paola Di Biagi

Quartieri e spazi abitabili

 

Esercizi di descrizione della città contemporanea pongono facilmente in luce i quartieri residenziali pubblici realizzati lungo il Novecento come parti urbane morfologicamente compiute. La discontinuità di queste figure spaziali della modernità rispetto ad altri tessuti urbani più omogenei, frammentati e minuti, non è solo morfologica; essa sta inizialmente negli obiettivi, nei processi, nei progetti e negli attori che hanno contribuito alla loro costruzione. Sorti per dare alloggi sani e dignitosi alle famiglie che non riuscivano ad accedervi attraverso le regole del mercato, i quartieri hanno offerto ai nuovi abitanti spazi e servizi comuni: giardini, cortili, aree per il gioco, piazze, asili, scuole, chiese, ecc. Non solo spazi abitabili interni e domestici dunque, ma anche spazi abitabili esterni da condividere, a integrare e allargare, nelle intenzioni, un principio di abitabilità

Ad accentuare la riconoscibilità morfologica di queste parti urbane, oltre alla scala e alla tipologia di quanto è costruito, contribuiscono misure e forme dell’inedificato. Gli spazi aperti svolgono qui un ruolo fondamentale nell’articolare la forma fisica, ma anche quella sociale, ad essi infatti è stato affidato il compito di generare relazioni tra gli abitanti e far crescere comunità di cittadini. 

Molte realizzazioni hanno però dimostrato come gli spazi aperti non siano sempre riusciti a divenire quei luoghi abitabili e comuni che politiche e progetti originari avevano immaginato. Rimasti spesso indefiniti, inutilizzati, residuali, vuoti, essi, da connettivo, come avrebbero dovuto essere, sono stati per lungo tempo “distanza”, non solo tra gli edifici, ma anche tra le persone. 

Interrogarsi sulle ragioni per le quali gli spazi aperti non siano riusciti a trasformarsi in ambiti di qualità e di  prossimità, è utile premessa alla elaborazione di progetti di riqualificazione delle periferie pubbliche. I motivi sono evidentemente molteplici e non possono che declinarsi caso per caso. Sommariamente possono essere riconducili a: metodi progettuali spesso esito di approcci solo quantitativi e di un uso parziale di strumenti quali standard e indici; l’eccessiva ampiezza degli spazi aperti e la loro localizzazione; la povertà del vocabolario tipologico di progetto; la scarsa attenzione alla transcalarità e all’articolazione tra spazio abitabile interno ed esterno, tra domestico-comune-pubblico; la tardiva realizzazione degli spazi comuni derivante dall’aver privilegiato l’edificazione del costruito, a causa delle urgenze abitative e della scarsità di risorse; la mancanza di manutenzione; il loro uso improprio; l’occupazione da parte delle automobili; l’incuria degli abitanti. E via dicendo.... 

Così, le cattive condizioni degli spazi aperti hanno partecipato al processo di degrado dei quartieri, alla caduta della loro qualità e immagine: da luoghi del vivere insieme e dove garantire diritti fondamentali per tutti (come quello di abitare), a luoghi di emarginazione tra i più problematici e stigmatizzati delle nostre città. Una evidente contraddizione per una città che voleva essere “pubblica” e “sociale”.

Occorre però al contempo constatare come oggi proprio l’ampia dotazione interna di spazi inedificati renda i quartieri parti urbane particolarmente permeabili e porose, caratteri accentuati dalla loro frequente posizione marginale, tra l’urbano e il periurbano, che li rende prossimi a grandi spazi aperti esterni e a elementi strutturali del sistema ambientale. Tratti di campagne urbane, boschi, corridoi verdi, aree fluviali, reticoli idrografici sono alcuni degli elementi che compongono e diversificano i sistemi ambientali verso i quali in molti contesti i quartieri affacciano o sono immersi, divenendone parte, spesso però inconsapevolmente. Infatti queste loro potenzialità sono raramente esplicitate e valorizzate. La lettura dei quartieri come “frammenti” di un paesaggio potrebbe trasformarli da luoghi “al margine” a potenziali nodi e filtri di connessione tra città consolidata e ambiente esterno, da luoghi “marginali” a rilevante risorsa per progetti capaci di coinvolgere ampie periferie urbane. 

La metafora della porosità può essere utilizzata anche per riconoscere la trasformabilità dei quartieri, se poroso è qualcosa che si fa attraversare, che non è finito e dunque può essere malleabile. Proprio la presenza di vuoti e spazi non precisamente risolti va a generare una condizione di modificabilità per queste parti urbane. La loro trasformazione sarà resa possibile dalla messa in campo di metodi e forme progettuali fondati su rinnovate letture e interpretazioni che sappiano cogliere il senso, i valori e le potenzialità di questi luoghi, grazie al preliminare e necessario superamento della stigmatizzazione che a lungo li ha accompagnati1.

L’emergere di una crescente attenzione per le valenze ambientali e sociali che in questi contesti il progetto urbanistico può assumere è d’altra parte testimoniato da numerose esperienze di ricerca e progettuali svolte negli ultimi decenni in Europa e in Italia. Alcuni interventi di riqualificazione in corso in molte città sottolineano l’esigenza di avviare nuovi itinerari interpretativi e progettuali improntati all’interazione tra differenti approcci e alla costruzione di processi in grado di delineare reti di cooperazione e dialogo tra abitanti, progettisti e istituzioni locali, tra coloro che abitano e fruiscono gli spazi della città pubblica e coloro che costruiscono e governano i processi urbanistici. La città pubblica torna così ad assumere un ruolo di laboratorio per progettualità innovative, dove diversi percorsi di ricerca, oltrepassando rigidi steccati disciplinari, sperimentano progetti e strategie capaci di avviare una più ampia rigenerazione urbana. 

 

Abitare la quotidianità

Una più attenta osservazione dei quartieri della città pubblica dal punto di vista degli spazi aperti, aggiunge significati alla loro condizione di “frammenti” di paesaggio, proponendoceli come “paesaggi di un abitare quotidiano”. Infatti, tornare in questi luoghi porta a riconoscere come col passare del tempo, in molti casi, gli spazi esterni abbiano saputo accogliere usi e pratiche degli abitanti, divenendone sfondo e supporto. Usi e pratiche che, un giorno dopo l’altro2, si svolgono lungo sequenze che si snodano dallo spazio interno e domestico verso quello esterno e urbano, e viceversa, secondo itinerari che attraversano e ridisegnano incessantemente i confini tra pubblico e privato.

L’attenzione verso queste dimensioni spazio-temporali dei quartieri pone prepotentemente al centro i loro abitanti e le relazioni che essi intrecciano ogni giorno con lo spazio fisico, le modalità con le quali questo incontro/scontro si esprime, in termini di usi, pratiche, conflitto, cura, incuria-vandalismo e su come tutto ciò trasformi i luoghi. Un simile approccio ne arricchisce le letture, partecipando anche alla verifica della loro abitabilità, una qualità misurabile proprio attraverso la capacità di accogliere e facilitare lo svolgimento della vita quotidiana degli abitanti. 

Quotidianità è parola molto presente nel vocabolario disciplinare contemporaneo. Il suo frequente uso contribuisce ad arricchire e specificare i significati di termini densi come “qualità” e “spazio pubblico”. Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di quotidiano? «Dire quotidiano – afferma la sociologa Laura Balbo -  significa che assumiamo il punto di vista di un individuo nella sua vita reale e concreta. Ciascuno è collocato rispetto alle cose che fa, in casa e sul lavoro, nelle attività professionali e nel tempo libero. Quotidiano non è però l'ambito del "familiare", nel senso della routine, di ciò che si dà per scontato, dell'irrilevante. E' piuttosto la dimensione spazio-temporale di ciascun attore sociale che concepisce, articola e realizza strategie, sommando momenti inventivi ai momenti adattivi»3. E per Paolo Jedlowski «la vita quotidiana è l'insieme degli ambienti, delle pratiche, delle relazioni e degli universi di senso al cui interno uomini e donne trascorrono in maniera ordinaria la maggior parte del proprio tempo, secondo le fasi del loro percorso biografico e secondo i ruoli in cui sono coinvolti, in una data società e in un periodo storico determinato»4

Uscendo dal proprio alloggio, estendendo quotidianamente le pratiche abitative verso gli spazi aperti comuni, gli abitanti se ne prendono cura e se ne appropriano5, allargando un processo di identificazione con lo spazio, da quello interno a quello esterno, che diviene anch’esso in qualche modo uno “spazio domestico”. Pratiche come il giardinaggio, l’orticoltura, il gioco, lo sport, il riposo, l’incontro, inevitabilmente modificano questi spazi, in maniera minuta e diffusa, trasformandoli in orti, aiuole coltivate, playground, piccole zone d’ombra e sosta, ecc.; tipi di spazio che vengono allestiti attraverso l’uso, e il riuso, di materiali semplici, poveri, di scarto. Queste pratiche di cura e questi microspazi dimostrano, da un lato l’affezione e la cura di molti abitanti anche verso quanto sta all’esterno della propria abitazione, dall’altra quella capacità di adattamento e inventiva quotidiana della quale parla Laura Balbo.

Più in generale, anche oltre i quartieri di edilizia pubblica, vanno diffondendosi nelle nostre città forme organizzate di cura e manutenzione di ambiti comuni da parte degli abitanti, complice la scarsità di risorse che caratterizza il nostro tempo, forme che partecipano al superamento di nette separazioni tra sfera pubblica e sfera privata e alla costruzione dello spazio aperto come uno spazio del pubblico

All’interno dei quartieri sono in particolare gli spazi di soglia, quelli posti lungo i confini tra interno ed esterno, tra costruito e inedificato, tra privato, semiprivato, comune, pubblico, abbondantemente presenti nella città pubblica, ad accogliere le pratiche del quotidiano e ad offrirsi a trasformazioni minute e diffuse6, invitando a ripensare drastiche dicotomie pubblico/privato e a mettere in luce, e in gioco, una molteplicità di microspazi (spesso non risolti dal progetto originario) che possono divenire ora una risorsa per la riqualificazione di questi stessi ambiti dell’abitare quotidiano e un’occasione di arricchimento per nuovi “progetti di suolo”.

L’insieme di pratiche e usi che “abitano” lo spazio aperto in questi luoghi dell’abitare quotidiano e lo connettono in una rete di continuità tra interno ed esterno, contribuiscono ad attribuirgli senso e valore, rendendolo abitato e abitabile, dunque anche sicuro. Constatare ciò porta a riconoscere l’obsolescenza di definizioni che fino a qualche tempo fa venivano utilizzate con frequenza, come “quartieri dormitorio”. Definizioni forse giustificate dalla monofunzionalità dei quartieri, ma costruite sull’esclusiva immagine di abitanti-tipo, prevalentemente maschi, lavoratori, sani, dimenticando la varietà di persone che nell’arco dell’intera giornata abitano questi luoghi: le donne, i bambini, gli adolescenti, i vecchi, i portatori di handicap, gli ammalati, … Considerazioni che da una parte rafforzano la necessità di osservare la vita che giorno dopo giorno si svolge in questi luoghi periferici, dall’altra invitano a parlare degli abitanti adottando approcci che aiutino a riconoscere differenti identità e modi di usare lo spazio, la molteplicità dei bisogni e delle fatiche quotidiane.

Le modificazioni che gli abitanti apportano allo spazio aperto e comune potrebbero essere in grado di modificare anche l’approccio al progetto urbano, se questo riesce a farsi strumento capace di intercettare, leggere e interpretare le tracce dell’abitare quotidiano7. Anche la questione della tutela di molti quartieri della città pubblica può trovare in questi aspetti un arricchimento. Il loro valore identitario infatti, al di là dell’assetto e qualità formale, viene accentuato proprio dai processi sociali che qui si svolgono, trasformando lo spazio, e che vedono proprio in quello aperto e nei suoi usi un ambito di riconoscimento e costruzione di identità da parte delle comunità che vi risiedono8.

Superate prospettive generalizzanti e metodi codificati, il progetto potrebbe così farsi più specifico, attribuendo significato ai molteplici e imprevedibili modi di trasformare lo spazio, interpretandoli come espressione di bisogni e di richieste di prestazioni a quello stesso spazio, divenendo così anche capace di riconoscere il ruolo attivo degli abitanti e la progettualità espressa proprio dal loro abitare quotidiano9. L’osservazione degli esiti di usi e pratiche, mette in luce non solo trasformazioni spontanee virtuose, ma anche le tracce di azioni di incuria da parte di abitanti, dall’abbandono di materiali di scarto, rottami, rifiuti, alla vandalizzazione di ambiti comuni e degli elementi che li compongono, ecc. Tracce e segni che progetti orientati a una riqualificazione multidimensionale devono riuscire a intercettare e interpretare per i disagi e i bisogni che anch’essi esprimono e per quanto rivelano delle caratteristiche di quegli stessi spazi.

Prospettive di lavoro come quella indicata divengono infatti anche strumento per sottoporre a verifica il progetto originario e la capacità dimostrata di tradursi al suolo in spazio abitabile. I quartieri, spesso esito di “progetti d’autore”, hanno nella realtà faticato, un giorno dopo l’altro, a divenire luoghi dell’abitare quotidiano. Verificare come progetti e realizzazioni abbiano reagito alla prova del quotidiano, offrendosi alle trasformazioni e all’aggressione da parte degli abitanti, aiuta non solo a leggere e misurare il loro grado di abitabilità, oltre le intenzioni dei progettisti, ma ha molto da insegnare a futuri interventi di riqualificazione.

Le parole con le quali Giancarlo De Carlo descrive come si svolge la vita quotidiana, in una qualsiasi domenica della primavera del 1954, nel complesso residenziale da lui progettato qualche anno prima per l’Ina Casa a Sesto San Giovanni, sembrano confermare l’utilità di questo tipo di letture. Scrive De Carlo: «Ho passato qualche ora di domenica, in primavera, ad osservare da un caffè di fronte il moto degli abitanti della mia casa. Ho subìto la violenza che mettevano nell’aggredirla per farla diventare la loro casa; ho verificato l’inesattezza dei miei calcoli. Le logge al sole erano colme di panni stesi e la gente era a nord, tutta sui ballatoi, davanti a ogni porta, con sedie a sdraio e sgabelli, per partecipare da attori e spettatori al teatro di loro stessi e della strada. La strettezza dei ballatoi aumentava l’emozione dei bambini che correvano in bicicletta le loro gincane; la trasparenza sui due lati dei parapetti, calcolata per la vertigine, aggiungeva allo spettacolo i guizzi delle gambe nude delle donne che si affacciavano. Ho capito allora quanto poco sicuro era stato il mio cardine, malgrado l’apparenza razionale. Conta l’orientamento e conta il verde e la luce e potersi isolare, ma più di tutto conta vedersi, parlare, stare insieme. Più di tutto conta comunicare»10.

 

 

In questa direzione si è mossa la ricerca La “città pubblica” come laboratorio di progettualità. La produzione di Linee guida per la riqualificazione sostenibile delle periferie urbane, finanziata nel 2006 dal Ministero dell’università e della ricerca. I principali risultati di quel programma di ricerca sono ora pubblicati nel volume LaboratorioCittàPubblica, Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, coordinamento generale di P. Di Biagi, coordinamento redazionale di E. Marchigiani, Bruno Mondadori, Milano 2009.

P. Jedlowski,  Un giorno dopo l'altro. La vita quotidiana tra esperienza e routine, il Mulino, Bologna  2005.

L. Balbo, Introduzione, in Friendly. Almanacco della società italiana, n. 1, 1993, p. 16, citato in P. Jedlowski, La sociologia della vita quotidiana oggi,    http://www.sociologia.unical.it/ossidiana/PJed.htm#_edn13

P. Jedlowski, La sociologia della vita quotidiana oggi

Cfr E. Marchigiani, Appropriazioni e A. Solarino, Cura, in LaboratorioCittàPubblica, Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, cit.

Cfr. S. Basso, Confini, distanze e prossimità: nuovi strumenti/dispositivi per il progetto dello spazio pubblico, paper presentato alla XIII conferenza Siu Città e crisi globale. Clima, sviluppo e convivenza, atelier 4 Conflitti e convivenza negli spazi pubblici, Roma 25-27 febbraio 2010, in  http://siu.dipsu.it/files/2010/06/ATELIER-4-SIU-2010_b.pdf. Si veda inoltre A. Bruzzese, Spazi comuni interni, in LaboratorioCittàPubblica, Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, cit. 

Cfr. P. Di Biagi, Spazio pubblico e abitare quotidiano: dal progetto dello standard al progetto della cura, in «Urbanistica» n. 150, 2012.

Cfr. A. Marin, Tutela, in LaboratorioCittàPubblica, Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, cit.

C. Cellamare, Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane, Carocci, Roma 2011.

10 G. De Carlo, in «Casabella» n. 201, 1954, ora in Case a Sesto San Giovanni e BavenoGiancarlo De Carlo. Immagini e frammenti, a cura di A. Mioni e E.C. Occhialini, Electa, Milano 1995.

 

 

 

 

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